Il 16 aprile 1488, da Faenza, Galeotto Manfredi scriveva a Lorenzo de’ Medici una riflessione che suona sorprendentemente attuale:
«Non è signore nessuno che non sia odiato da qualche suo suddito; mi persuado anch’io averne qualcuno, ma pochi, che mi portano odio non per mio defecto, ma per la loro mala natura, perché sono molto beneficati da me.»
Con queste parole, vergate pochi mesi prima del tragico epilogo della sua vita, Galeotto Manfredi ammette una semplice ma inevitabile verità: chi governa non può aspettarsi di essere amato da tutti. Anche i sudditi più beneficiati possono covare ostilità, non per reali torti subiti, ma per invidia, rancore o semplice malanimo.
Il signore di Faenza sembra accettare con pragmatismo questa condizione: l’odio di pochi non mette in discussione la sua legittimità, ma rappresenta il prezzo naturale del potere. Una considerazione che va oltre il Quattrocento e che conserva ancora oggi una sorprendente attualità: chi guida, chi prende decisioni, chi esercita autorità, inevitabilmente si espone non solo al consenso, ma anche all’ostilità.
#GaleottoManfredi #LorenzoDeMedici #StoriaItaliana #Rinascimento #Quattrocento #StoriaMedievale #StoriaDiFaenza #Signorie #StoriaMilitare #StoriaPolitica