Morto Galeotto Manfredi arriva un nuovo commissario

  “Et per tanto noi crediamo li huomini di val di lamone naturalmente essere tratti amici, vedi di mantenerli et fare loro ogni piacere et f...

 

Morto Galeotto Manfredi arriva un nuovo commissario


“Et per tanto noi crediamo li huomini di val di lamone naturalmente essere tratti amici, vedi di mantenerli et fare loro ogni piacere et farai possibile in ogni loro occorrenza, di modo pero che absoteschi huomini di Faenza non generarsi suspitione alcuna.”

Commissione di Dyonigi Pucci
die 20 july 1488.

Con queste parole si conclude una lunga e articolata missiva consegnata dal governo fiorentino a Dionigi Pucci, designato quale nuovo commissario a Faenza in sostituzione di Giovan Battista Ridolfi. Il documento stabilisce i comportamenti da adottare al fine di garantire la tutela degli interessi della Repubblica di Firenze in un contesto instabile e sensibile come quello di Faenza nel 1488.

Il contesto in cui Dionigi Pucci riceve l’incarico è particolarmente delicato. Dopo l’uccisione di Galeotto Manfredi, avvenuta nel maggio dello stesso anno, per mano della moglie Francesca Bentivoglio, la signoria manfrediana di Faenza è tecnicamente sopravvissuta solo nella figura del giovane Astore, figlio di Galeotto e Francesca, posto sotto la tutela degli anziani della città. In questa situazione di transizione e incertezza, Faenza non è formalmente  governata direttamente dalla Repubblica fiorentina, ma è di fatto sottoposta alla sua influenza attraverso la figura del commissario, incaricato di vigilare e guidare la politica locale nel rispetto degli interessi di Firenze.

Il passaggio finale della lettera contiene un’esortazione esplicita all’accortezza diplomatica: a Pucci si raccomanda di mantenere relazioni cordiali e collaborative con la popolazione, mostrando disponibilità e prontezza nell’assecondarne le richieste. Tuttavia, tale atteggiamento doveva essere calibrato con attenzione, evitando in ogni modo che si generassero sospetti o tensioni presso i cosiddetti “huomini soteschi” di Faenza, figure eminenti del contesto cittadino, naturalmente diffidenti verso l’autorità esterna.

Questo passaggio ci aiuta a capire con quale maestria politica il commissario fiorentino doveva sapersi muovere nel contesto faentino e romagnolo del tardo Quattrocento. Doveva rappresentare un’autorità rassicurante e ben disposta verso i cittadini e soprattutto nei confronti delle élite locali, spesso ostili o perlomeno guardinghe nei confronti dell’ingerenza esterna, pur mantenendo di fatto salda la propria funzione di controllo e vigilanza nel rispetto degli interessi fiorentini.

ASFI Fondi, Signori, Legazioni e commissarie, Missive, istruzioni e lettere a oratori. 21 Missive. 148


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